Nel Mediterraneo orientale .....
In età romana le coste della Puglia erano costellate di porti e di approdi. Il quadro dell'organizzazione portuale è desumibile sia dalla documentazione archeologica sia dalle fonti storico-geografiche e in particolare dagli itinerari.
Per la ricostruzione della rete dei collegamenti commerciali informazioni preziose scaturiscono inoltre dalle indagini archeologiche subacquee e dallo studio sistematico del sistema portuale e dei relitti inabissati lungo le coste. Relitti il cui carico era costituito in prevalenza da materiale lapideo (naves lapidariae) sono disseminati lungo i fondali marini del litorale ionico del Salento, precisamente, nelle acque di S. Pietro in Bevagna (Manduria, Taranto), Torre Sgarrata (Pulsano, Taranto) e Scalo di Furnu (Porto Cesareo, Lecce). Il carico del relitto di Scalo di Furnu meglio conosciuto come Torre Chianca era costituito da colonne marmoree, mentre quello delle navi naufragate a S. Pietro in Bevagna e a Torre Sgarrata da sarcofagi di marmo.
Questo genere di trasporto e di commercio marittimo, oltre che dalle fonti letterarie è attestato dagli innumerevoli blocchi di diversa qualità di marmo e pietra rinvenuti a Roma nei magazzini della Mormorata e del Campo Marzio e dal considerevole numero di relitti, con carichi di marmo di provenienza ellenica, microasiatica e africana, individuati in vari contesti del Mediterraneo, soprattutto, lungo le coste della Sicilia, della Calabria e della Puglia.
Il relitto di S. Pietro, segnalato già sin dal 1935, è stato oggetto di una recente campagna di prospezioni da parte della Soprintendenza archeologica. Il basso fondale e la devastante azione del moto ondoso non hanno consentito il rilevamento dell'imbarcazione.
Il giacimento, individuato a circa m. 4,20 di profondità, si estende per circa 15 m. di larghezza ed è costituito da ventitré sarcofagi di marmo cristallino (tipico delle cave della valle del Meandro, come quelle d'Afrodisìa o delle isole egee come Taso) di forma e di dimensioni diverse dal peso variabile dai 1000 ai 6.000 chilogrammi.
Non si esclude l'esistenza d'altri sarcofagi completamente insabbiati; quelli identificati rispecchiano due tipologie: dieci sono rettangolari fra cui alcuni singoli (con una parete più spessa da cui si poteva ricavare il coperchio) quattro a doppia deposizione in un unico blocco da disgiungere e rifinire secondo le richieste dei committenti a destinazione finale.
Altri nove erano a "vasca" o a "tinozza", di varie dimensioni per economizzare lo spazio disponibile a bordo dell'imbarcazione. In base alla tipologia dei sarcofagi, ai frammenti di sigillata africana e alle anfore rinvenute oltre al confronto parallelo con il relitto peloponnesiaco di Methone (Grecia) la datazione è ascrivibile alla prima metà del III sec. d.C.
Un carico accomunabile, rinvenuto nel comprensorio di Torre Sgarrata, comprendeva blocchi d'alabastro dell'Asia Minore ed elementi in marmo bianco di Taso (destinati alla statuaria e all'edilizia patrizia), aggregati a 18 sarcofagi semilavorati e a numerose lastre di rivestimento.
I sarcofagi, negli anni '60, furono recuperati da P. Trockmorton coadiuvato dalla Marina Militare Italiana; tre esemplari furono collocati nel castello Aragonese dì Taranto e i rimanenti in un'area adiacente al Mar Piccolo.
Successivamente, furono trasferiti nella pineta dell'Ospedale Militare della Marina dove versano, tuttora, in stato d'abbandono.
In base alla dotazione di bordo, comprendente un'anfora Tripolitana, sigillata africana e alcune monete tra cui un bronzo dell'età di Commodo, la datazione è stata fissata alla fine del I o agli inizi del III sec. d.C.
A partire dal 1960, effettuando regolari prospezioni, P. Trockmorton identificò anche il relitto di Torre Chianca.
Di recente, la Soprintendenza archeologica della Puglia ha eseguito un intervento di rilievo, documentazione e ricognizione dell'area contigua.
Il carico del relitto (di cui non si è rilevata alcuna parte del fasciame) era composto da cinque colonne monolitiche e da due blocchi parallelepipedi in marmo caristio (il cosiddetto cipollino) di provenienza euboica.
Il materiale fittile annoverante frammenti anforici e laterizi pertinenti a questa zona specifica, proprio come il fondale dell'insenatura di Torre Chianca, risulta eterogeneo.
Un collo frammentario d'anfora Tripolitana III ed uno d'Africana II consentono di determinare il naufragio di questa nave al III sec. d.C.
Altri rinvenimenti sottomarini, dislocati lungo le coste salentine, sono costituiti da relitti di navi i cui carichi documentano non solo il volume dei traffici, ma anche le caratteristiche delle navi (granariae, vinariae, ecc.) la cui destinazione privilegiata era rappresentata da Roma.
Nella capitale dell'impero le derrate alimentari giungevano da Antiochia, Cesarea, Leptis Magna, Alessandria d'Egitto, Cartagine, Codice, Tarragona, Narbona e Marsiglia (in virtù di itinerari alcune volte diretti altre volte dislocati lungo l'intricatissima rete interna che consentiva la navigazione locale) per soddisfare sia le esigenze dell'annona che del libero mercato).
Tutto ciò che era trasportabile poteva essere inglobato nel carico di una nave: piombo, rame stagno, elementi architettonici, ceramica, gioielli, stoffe, avori intagliati, olio d'oliva, cereali, pesce salato tranciato sott'olio o tramutato in salsamenta (garum, oxygarum, hallex, liquaminis flos, ecc.), aceto, miele, olive, vino, defrutum (ottenuto dalla bollitura del mosto), frutta, lana, bestiame, schiavi ed opere d'arte.
In epoca romana il Salento era inserito in fiorenti attività agricolo-produttive e commerciali, la sua posizione si configurava strategica nei commerci e nei traffici intercorrenti nell'Adriatico e nel Mediterraneo orientale.
Rotte marine che avevano come meta la penisola salentina sono documentate sin dall'età micenea da un numero considerevole di evidenze archeologiche relative ai siti costieri di Monticelli di Ostuni, Torre Santa Sabina (i cui materiali sono dislocati in un ampio arco cronologico che va dall'età arcaica fino ad età imperiale inoltrata), Torre Guaceto, Brindisi, Roca, Otranto e Leuca per quanto riguarda il versante adriatico e Scoglio del Tonno, Porto Perone, Torre Castelluccia e Scalo di Furnu per quello ionico.
Le fonti e la documentazione archeologica consentono dì delineare varie rotte commerciali che si irradiavano dall'area egeo-balcanica fino ad Otranto risalendo poi verso Torre dell'Orso, San Foca e San Cataldo.
Le due principali rotte che solcavano il Mediterraneo erano quella nord-sud che collegava Aquileia con Alessandria d'Egitto e viceversa e quella ovest-est che collegava i porti tirrenici, in particolare Puteoli (Pozzuoli), con l'Oriente e viceversa.
Questa aveva come tappa preferenziale il porto di Brindisi, soprattutto in età romana, rimpiazzato in particolari frangenti come porto militare da quello di Egnatìa.
Sulla costa adriatica, anche, il porto di Lupiae (Lecce), identificabile con l'attuale San Cataldo, descritto dalle fonti letterarie come luogo dello sbarco di Ottaviano (proveniente da Apollonia e diretto a Roma) ebbe un ruolo determinante tra la fine dell'età repubblicana e la prima età imperiale.
Questo fu munito di infrastrutture che furono ulteriormente supportate dalla costruzione del molo adrianeo, i cui resti sono individuabili in parte sulla terra ferma e in parte affiorano sullo specchio d'acqua.
E' comunque Hydruntum (Otranto) l'altro grande polo portuale salentino, in età arcaica, classica ed ellenistica che assunse il ruolo di terminale alternativo a Brundisium (Brindisi) nelle rotte da e per l'Oriente, per tutta l'età romana.
La ricerca archeologica subacquea ha localizzato una serie di approdi di secondaria importanza, tralasciati dalle fonti: le insenature di Savelletri e di Torre Santa Sabina, la baia di Torre Guaceto, i canali di Apani e Giancola, Torre Chianca, Torre Veneri (gli ultimi due siti come anche quello di San Foca relativi a impianti connessi alle attività della pesca e della lavorazione del pescato), Torre dell'Orso, Torre Santo Stefano, Porto Badisco, ecc. Degni di nota sono i numerosi giacimenti relativi a relitti, presunti o accertati, localizzati nel brindisino a Torre Guaceto, Santa Sabina, Pedagne, Punta della Contessa, Acque Chiare e Punta del Serrane.
Relitti particolarmente suggestivi sono stati ravvisati, inoltre, lungo le coste leccesi a Porto Badisco e a Santa Caterina di Nardò; il loro carico era costituito da anfore "Lamboglia 2", "calabre" e "greco-italiche". Nell'area dove sì protrae l'odierno molo idruntino è stato rilevato un numero imprecisato di sarcofagi. La particolare posizione della penisola salentina ha determinato la storia, la cultura e l'economia di questo territorio, proteso tra due mari, i cui fondali sono una miniera inesauribile di relitti e reperti archeologici sommersi, attestanti il commercio transmarino di derrate alimentari e di materiali da costruzione: laterizi e marmi (blocchi, lastre, colonne, cornici, capitelli, statue, steli e sarcofagi semilavorati) destinati all'ornamento degli edifici pubblici e privati dell'Urbe.
Fonte: testi tratti da archeosalento.it
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